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Abitare la pelle

Bisogna ragionare in termini visivi. Esprimersi a parole può essere controproducente, ma si accetta il rischio di risultare, nonostante gli sforzi verbali, comunicativamente inconsistenti. D’altronde, non si potrebbe comunque essere esaustivi, almeno non di fronte alla complessità del procedimento artistico, di fronte a questa specifica complessità. Perciò proverò a evocare, per mezzo di singole parole elencate in serie, dei concetti e, attraverso questi, delle immagini che credo (spero) possano corrispondere alle idee che progressivamente ho associato, istintivamente e non, alle caratteristiche formali che strutturano l’opera di Yorgos Stamkopoulos, giovanissimo artista di origini greche attualmente in mostra alla Galleria Mario Iannelli.

Yorgos Stamkopoulos, Trajectory, 2017. Installation view. Courtesy of Mario Iannelli, Photo by Roberto Apa

Traiettoria. La prima parola è la più scontata: non è che la traduzione del titolo della mostra. La scelta del nome da dare all’esibizione, però, non è per niente banale, anzi implica una serie di risvolti storici e concettuali indispensabili per una corretta attribuzione di senso, per una coerente interpretazione (dunque comprensione, anche se mai totale) del lavoro. Lo spiccato carattere murale, la qualità pittorica e cromatica delle macchie che come licheni attecchiscono alle superfici insinuandosi negli angoli, e le diverse declinazioni riflessive di cui l’atto percettivo si carica (che vanno dai riferimenti alla finestra prospettica albertiana fino all’idea di Gesamtkunstwerk, passando tangenzialmente per le teorie gestaltiche) sono tutti elementi utili all’inquadramento del retroterra teorico (e, si badi, non strettamente filosofico) in cui l’artista si è mosso.

Legato al primo termine ve n’è subito un secondo.

Meccanica. Spazialità e temporalità (dimensioni che a volte dimentichiamo essere primariamente fisiche) vengono indicate come categorie imprescindibili e fondanti: l’opera è site-specific, ha una spiccata vocazione ambientale e per essere fruita richiede tempo, che lo spettatore si muova nei meandri del white cube (in questo caso decisamente non più così bianco) per avere in ogni momento una diverso punto di vista, una differente angolazione. Un dinamismo necessario, indotto, che mi fa pensare in realtà più all’esattezza della balistica che non alla fatua libertà dei moti aerei: seguiamo, come in calcolo vettoriale, direzioni precise, anche se in apparenza scomposte (l’esempio più prossimo che mi viene in mente è quello della formica, la quale si muove, almeno così dicono gli entomologi, percorrendo dei tracciati insospettabilmente regolari).

Questo mi rimanda al terzo termine.

Esperienza. Ho parlato, mi auguro non a sproposito, di tempo e spazio, di progressione e percezione. Che si tratti di pittura applicata sulle pareti o di sculture filiformi, diretta traduzione tridimensionale del grafismo lineare che informa i disegni (esposti per la prima volta in questa occasione), ci troviamo sempre nella condizione di dover misurare dei segmenti con lo sguardo, come se le opere si stessero formando nel momento preciso in cui le osserviamo. Come se fossimo noi a crearle, a dar loro una collocazione fenomenica attraverso un lavorio squisitamente estetico. Le azioni compiute, sia a livello creativo che spettatoriale, hanno un forte carattere processuale: il fare pittura e la sua fruizione, ce lo dice l’artista stesso, sono legati, si inscrivono in un medesimo ordine mentale. Configurazioni sempre inedite si riorganizzano in continuazione, e inesauribili sono le sorprese che se ne ricavano (tanto da essere certo che non sia futile spendere del tempo a cercare in queste nebulose rosate masse più o meno riconoscibili).

Yorgos Stamkopoulos, Trajectory, 2017. Installation view. Courtesy of Mario Iannelli, Photo by Roberto Apa

Ultimo termine.

Pelle. Questa parola si riferisce alla mia prima e più viscerale impressione, ovvero quella di trovarmi in un ambiente ricoperto da strati di pelle rimossa, ancora calda e pulsante nonostante lo strappo fosse già avvenuto. Nulla di macabro, sia chiaro, perché il pensiero metaforico viene subito in soccorso. L’idea di spellamento, che in effetti ben descrive la tecnica di rimozione utilizzata dall’artista, mi ha dato quasi la sensazione, non credo di esagerare affermando ciò, di aver abitato una pelle (mi permetto di parafrasare il titolo di un celebre film di Pedro Almodóvar), sperimentando un’aderenza totalizzante. Se il film dalle tonalità carnose costituisce l’epidermide di questo impalpabile organismo, allora le barre in acciaio che si piegano leggiadre possono essere considerate come la sua ramificazione nervosa o venosa, capillari in cui scorre una vivifica tensione superficiale.

Galleria Mario Iannelli [Roma, Via Flaminia 380]

marioiannelli.it

Trajectory

YORGOS STAMKOPOULOS

25 gennaio - 31 marzo 2017

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