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NOTES & COMMENTS

03/10/2017

Insitu ospita fino al 7 ottobre la personale della giovane artista Roberta Folliero, dal titolo Handmade.

Il candore di superfici sapientemente ricamate invade lo spazio. Il gesto ossessivo e così denso di memoria del ricamo risale a tempi lontani, al di fuori dalla modernità, avulsi dal rumore contemporaneo. Eppure qualcosa non torna: il telo non è stoffa, ma plastica. Teli di plastica, sì, che diventano leggeri come il cotone, e grazie alla fantasia dell'ornato si lasciano plasmare come tele, provocando un dolce cortocircuito tra cosa vediamo e cosa ci aspettiamo di vedere. I tombolini sulla soglia segnano l'entrata in un modo lontano, anche se a noi così vicino.
Entrate dunque nel mondo di Roberta Folliero, che ha ricamato una storia ancora da scrivere.

29/06/2017

Ma guarda quanta immondizia! Roma è una città davvero sporca... finita pure qui, in questo garage convertito a spazio espositivo, dove dei sacchi della spazzatura fanno capolino non appena varchiamo l’ingresso. Lasciati dall’ennesimo incivile, abbandonati dal cafone di turno.
Ma, un attimo. Sembrano essere finti: cosa ci sarà dentro?
C'è anche un secchione dipinto, proprio come quelli che “ornano” i marciapiedi dello scenario metropolitano. 
Il realismo del cassonetto, la sporcizia simulata… ma allora è un’opera d’arte quella che sto guardando! La mostra inizia da qui.
Magari fosse così estetica la controparte reale che deturpa lo spazio urbano!
Più in là una pozza di olio di motore mi invita con tutta la sua lucentezza a specchiarmi; ahimè, dal meccanico potrei scivolare e cadere se incappassi in una macchia nera, ma qui mi piace proprio. Davvero strano! Non se ne sente neanche l’odore.
E quell’estintore inservibile posto al centro come se galleggiasse… 
Se questo posto dovesse prendere fuoco non potrei nemmeno chiamare i soccorsi: il telefono a gettoni non funziona!
Scappare sarebbe ugualmente impossibile, dato che alla fermata dell’autobus non passerà alcun mezzo che potrà trarmi in salvo.
Speriamo che non accada nulla di sgradevole! Intanto osservo, e noto che qualcuno ha cercato di pulire un pannello di erba sintetica con gli stessi prodotti che si usano per nettare i vetri. Che idiozia!
Viviamo davvero in un mondo senza logica.
E questa ruota solitaria fissata a un palo, forse il residuo di un furto rocambolesco… Ora che ci penso, qui è dove avevo legato con una catena la mia… dannazione Marcel, ci hanno rubato la bici!

08/06/2017

Cosa c'è di più caduco e nostalgico, ma allo stesso tempo dotato di immortalità, di una statua classica? Alessandro Calizza (classe 1983) lo sa bene, e inserisce i suoi lavori all'interno della Gipsoteca della Sapienza facendoli dialogare con le sculture antiche della collezione.


L'illusoria sicurezza e il senso di durevolezza, così sintomatici del nostro tempo, si spaccano di fronte alla sensazione di incompiutezza e frammentarietà trasmessa dalle opere del museo, sebbene esse si presentino in tutta la loro perfezione formale. Alessandro Calizza rende questa dicotomia ancora più accentuata, con i suoi colori sgargianti in contrasto al bianco candore dei gessi.

Denuncia sociale? Certo. Il consumismo ci divora dall'interno e la mania di accumulare ci soffoca. Vedere opere antiche restaurate utilizzando dell'oro (secondo la tecnica giapponese del Kintsugi) fa riflettere sul nostro presente e sulla mancata volontà di ricostruire e ricostruirsi. I colori così forti dei dipinti sembrano essere come dei graffiti denigranti, dei tagli nel tessuto della nostra cultura che manifestano la scarsa attenzione e sensibilità verso di essa. Atene brucia, sì, e per mano nostra. Una riflessione cruda che spinge a interrogarsi sul tempo che viviamo e su quello passato per essere consapevoli dell'interazione che deve esserci tra questi, senza perdere di vista né l'uno né l'altro.

05/06/2017

Si avverte un senso di spensieratezza visitando la mostra di Eric Bainbridge (Durham, UK, 1955) alla galleria Monitor. Una spensieratezza vaga e sottilmente ilare, ludica come le composizioni scultoree che, quasi casualmente, riempiono lo spazio. Una giocosità, però, tutt’altro che ingenua o eccessivamente veniale, che ben poco ha da spartire con tanta produzione pseudo-surrealista - quella che annovera tra le sue file improbabili “oggetti trovati” e manifestazioni figurali di un inconscio perturbato. Il gusto per l’assemblaggio, la pulsione all’accostamento e l’interesse per il bricolage si configurano più come categorie processuali, pretesti squisitamente metodologici finalizzati all’elaborazione di una concezione della scultura che, pur trasformandosi secondo le leggi che governano l’evoluzione visiva delle forme, non dimentica la sua più essenziale componente materiale, la sua dipendenza dall’operare antropico.

 

Elementi del quotidiano sono reinterpretati facendone emergere le qualità tattili e cromatiche. Tasselli di pelliccia compongono quadri simili a trapunte realizzate a patchwork (Sunrise over Buriam, 2016); asciugamani irrigiditi pendono abbandonati, ora da una cornice appesa al muro, come una cortina apposta a nascondere chissà quali oscenità, ora a cavalcioni di una struttura in ferro a “U” rovesciata, come quelle che in città servono a delimitare le aree pedonali (Untitled, 2014). Altre pezze di tessuto, invece, ornano le appendici ricurve di un albero metallico (Nostalgia, 2016). Pianta ornamentale o contorto attaccapanni, questa fantasiosa invenzione dischiude con leggerezza l’energia evocativa di impensabili racconti.

08/04/2017

In Situ presenta la seconda mostra del ciclo Assurdità Contemporanee dal titolo Eco, che questa volta vede protagonista Andrea Frosolini

In Situ è uno spazio multiforme che si trasforma da deposito a laboratorio di falegnameria, da garage in ristrutturazione a studio d'artista.

Con Eco ci ritroviamo in una vera galleria d'arte che non ha niente da invidiare a quelle che dal centro si spostano verso Trastevere. Qui però ci siamo spostati a Torbellamonaca. 

 

Tranquilli, da San Giovanni ci vuole mezz'ora di metro, ti siedi, non devi imprecare in mezzo al traffico della Casilina e almeno per venti minuti fino a Giardinetti "no signal”: nessuno può romperti le scatole con sms, WhatsApp, file audio, chiamate, pop-up di messenger, mail o newsletter. La Metro C come il monte Athos, quasi l'unico posto a Roma dove ancora puoi leggere un intero capitolo del tuo libro senza interruzioni!

 

Siamo Arrivati.

L'icona grattata sul telo di plastica, inquadrato da una pesante cornice barocca, si coglie nel contrasto tra traslucenza e opacità del materiale. L'iconografia è così popolare che si manifesta palese come il soggetto di una pala d'altare, riconoscibile anche dal meccanico che lavora qui di fronte. Una sedia di Ikea, ma non una qualunque, quella più "eco-nomica", che con 18 euro te la porti a casa e te la monti con l'immancabile brucola che trovi all'interno della confezione. È anche "Eco-logica" perché terminato il suo ciclo di vita la puoi utilizzare come materiale per combustione, così dicono le istruzioni di montaggio. È una sedia popolare e familiare come quelle delle osterie di una volta, quelle che ora si chiamano vintage mentre prima erano rimediate nei depositi. Se la sedia da osteria ora la vediamo rivivere in quasi tutti i locali alla moda della capitale, quella di Ikea la ritroveremo nel dimenticatoio del fuori produzione. Emblema della standardizzazione dei consumi della nostra società, non ne resterà altro che l'ombra disciolta nel ricordo di un tempo in cui le rate sono state sostituite dal pret à porter. 

Il resto dovete vederlo. 

 

Lettura consigliata: "9 dicembre 1973. Acculturazione e Acculturazione" in Scritti Corsari di Pierpaolo Pasolini.

16/03/2017

Plastica, lattice, metalli ed elementi di scarto industriale costituiscono il panorama del nostro vivere quotidiano.

La forza trainante che contraddistingue le opere dei tre giovani artisti Karoline Dausien, Joakim Martinussen e Thea Moeller, nella loro collettiva presso Operativa Arte Contemporanea dal titolo Mortadella, è quella di un senso dell’humor applicato a una forte inclinazione manuale, combinazione da cui nasce un gioco di associazioni mentali in cui gli oggetti quotidiani, una volta funzionali e ormai privi di qualsiasi utilità, diventano oggetti dalla nuova valenza estetica.

A chi non è mai capitato, sembrano dirci, di cogliere in un pezzo lamiera abbandonato e lasciato alle intemperie una piccola piscinetta e fantasticare su un’improbabile immersione liberatoria dal grigiore circostante? Oppure di bucherellare un residuo di gommapiuma che un tempo era l’imbottitura di un divano dismesso in cantina, creandovi un disegno per passatempo o per puro divertimento?

Così, scherzando un po’, è possibile portare a nuova vita frammenti abbandonati, con una serietà atta a ribaltare semanticamente il senso delle cose e a combattere una staticità classificatoria, ponendo all’attenzione una molteplicità di significati e possibilità.

15/03/2017

Dopotutto è sempre una questione di visione: che sia stereotipata, veicolata o politicizzata è pur sempre un adempimento dei compiti della vista. Il duo romano Grossi Maglioni (Francesca Grossi e Vera Maglioni, classe 1982) espone alla galleria Albumarte tre diversi progetti che dal 2006 accompagnano il lavoro delle due artiste. Il file rouge della mostra è l'interazione del pubblico, considerato partecipante attivo sia nell'arte sia nel sociale, con le opere in mostra. Campo Grossi Maglioni è infatti una mostra in pieno divenire, segnata da workshops durante i quali il pubblico è invitato a confrontarsi fisicamente con le opere e con lo spazio espositivo. 

Immerse nelle tematiche sociali e antropologiche del nostro tempo, la coppia creativa indaga le diverse funzioni dello sguardo, unendo, in uno dei progetti presentati, Sguardo che offende (2011-2017), la scienza delle visione ai risvolti percettivi legati alla fruizione dell'arte. Esse creano degli strumenti per una visione ottimizzata, espedienti che, parallelamente agli esiti delle ricerche scientifiche, fanno sì che lo spettatore trovi un nuovo modo di vedere il mondo. Mirini della visione, che rimandando al tema della guerriglia e della precisione che toglie la vita, qui stimolano invece un diverso modo, più proficuo, di guardare le cose, un modo inaspettato e fulmineo. 

I prossimi workshop sono previsti per il 16 marzo e il 27 aprile, in occasione del finissage della mostra. 

04/03/2017

Il tempo della storia si dilata, respirando ampiamente sul nostro tempo personale e soggettivandone i confini di pensiero. 

Michel Foucault ha paragonato il tempo della storia a una linea spezzata e intermittente, che non procede in una sola direzione ma rifiuta le categorizzazioni e le gabbie periodiche. Ma allora come si può studiare il tempo? In base a che criterio dobbiamo rapportarci con la storia e il pensiero umano? 

 

Con la mostra Note Of Complexity, allestita presso la galleria Ex Elettrofonica fino al 17 marzo, Elana Mazzi indaga i segni tangibili ed effimeri del tempo collettivo e personale, dando forma visiva alle teorie scientifiche del fisico Bruno Giordini, che con le sue "teorie delle fratture" studia il tempo in base a eventi imprevisti e imprevedivili, nella loro dimensione geo-fisica. 

 

E quale miglior territorio di studi se non un ambiente in continua trasformazione come un vulcano? Il suo aspetto muta di giorno in giorno, la sua attività è inarrestabile. 

La complessità del cambiamento della terra viene trasportata sul piano creativo dall'artista, che attraverso diversi media quali video e fotoincisione analizza le fratture fisiche e antropologiche del nostro tempo. 

Le fotoincisioni della serie Fratture, ricavate con inchiostro mescolato a lava vulcanica, tematizzano la frammentarietà del territorio come metafora della complessità e stratificazione del nostro tempo vissuto.

17/02/2017

Dopotutto è sempre e solo una questione di confine.

Delimitazioni di campo, restrizioni concettuali ed etichette terminologiche: tutti strumenti di comodo, prontuari manualistici la cui utilità orientativa si è trasformata, col tempo, in una sorta di miraggio dogmatico, in un metodo, spesso drasticamente semplicistico, di incasellamento teorico.

 

Gli artisti proposti, appartenenti alle generazioni nate tra gli anni ’50 e la prima metà del decennio successivo, esplorano coraggiosamente le diverse soluzioni espressive che gravitano attorno al concetto di confine, muovendosi, con grande destrezza critica, lungo le linee di ricerca inaugurate in ambito minimalista, tra le sue declinazioni spaziali, temporali e materiali.

 

Così la galleria diventa il luogo in cui diverse specificità si mescolano e si attraversano reciprocamente, un intramondo fatto di accadimenti creativi: vuoti, plasticità e ondulazioni (le tele ripiegate di Simon Callery); temporalità, sottigliezze e stratificazioni (i lavori processuali di Maria Morganti); astrazioni, relazioni e trasformazioni (i monocromi materici di Paolo Parisi); geometrie, brillantezze e modernità (i pittogrammi installativi di Gerwald Rockenschaub); essenzialità, sfumature e ambiguità (le opere grafiche di Marco Tirelli).

 

Queste diverse forme di sconfinamento dimostrano come ogni definizione abbia in sé i presupposti per la sua radicale contestazione.

Alla fine è solo una questione di confini. E del loro superamento.

16/02/2017

Il mammifero più prossimo all'uomo, con il quale egli condivide una somiglianza notevole sia dal punto di vista fisico che genetico, è la scimmia antropomorfa. Sergio Ragalzi fa spofondare ogni nostra sicurezza antropologica all'interno di monumentali tele nere, dove risaltano soltanto, mute e spettrali, le figure dei primati.

 

Non sono dotate di parola, ma parlano la nostra lingua; sono immobili, ma sembrano prendere vita, nel buio e all'improvviso, grazie a un impianto sonoro che ne riproduce le grida e al gioco di illuminazione ad intermittenza congenialmente ideato da Fabio Sargentini.  

 

Un richiamo, perchè no, a quel filone della psicologia evoluzionistica secondo cui il bambino crescerebbe rapportandosi al mondo esterno tramite esperienze sensoriali del tutto simili a quelle degli animali. 

 

Per converso, se la caratteristica fondamentale dell'essere umano è il linguaggio, sembra quasi che queste scimmie vogliano rivendicare la propria somiglianza a noi, la loro "umanità".

12/02/2017

Inutile ritentare, il cerchio non quadra. Inutile ogni tentativo di rifare i calcoli, i conti non tornano. Nessuna colonna vergine si erge dal terreno; della pietra angolare rimangono soltanto, tracciate con il laser, le sottili linee rosse che dovrebbero ospitarla. 

 

Metafore, certo, ma comunque concrete e oggettuali, figure di una retorica che non disvela un senso “altro” più profondo. Non trascendono lo spazio fisico, ma lo sovvertono sottilmente diventandone sue appendici; non trasportano verso alcuna dimensione parallela, semmai la trascinano in un’immobilità architettonica. Non simboleggiano proprio nulla. Anzi è proprio il niente, la vuotezza delle categorie normative che questi strumenti vogliono misurare, la geometrica futilità di ogni delimitazione concettuale.

 

Matematica dell’incongruenza, aritmetica dell’impraticabilità. Eppure è proprio la precisione di queste misurazioni, condotte con un’attenzione sorprendente ma destinate a rimanere fine a se stesse, l’unica strategia in grado di scardinare il mito dell’esattezza significante, parametro arbitrario eletto a fondamento di ogni conoscenza.

 

Il cantiere sembra fermo, ma i lavori continuano in un tramestio invisibile e incessante. Tutto rimane in potenza. In vista di un’attività edilizia che mai avrà luogo, che mai darà luogo a qualcosa. Il rigore della progettualità denuncia ed esalta al contempo la stessa incertezza che gli odierni sistemi di pensiero vorrebbero risolvere.

08/02/2017

Si spalanca un mondo, un Eden fin troppo concreto che si compiace della sua stessa materialità. La Terra non è più termine fisico, ma diventa un concetto totalizzante, la dimensione interpretativa in cui inscrivere ogni pensiero.

 

La natura di queste forme irrimediabilmente ci sfugge. Grumi e involucri le cui essenze sono a noi ignote, almeno a prima vista, ma di cui comprendiamo subito l’aspetto, forgiato da una mano demiurgica che ha lasciato la sua orma. 

 

Ma è la mano dell’Uomo quella che ha operato? è la sua azione quella che possiamo riscontrare, percepire nelle evoluzioni di queste concrezioni vegetali e geologiche? O è la mano invisibile e ancestrale di una Natura che si diverte a confonderci, disperdendo nello spazio la sua progenie polimorfa.

 

Per farci strada in questa selva di riferimenti si deve procedere per analogie e similitudini, percorrendo i metaforici sentieri che si addentrano in un sottobosco umbratile fatto di accenni sussurrati e rivelazioni non del tutto svelate. 

 

Come il corpo imprime la sua morfologia sulle morbidezze inorganiche, così gli elementi tellurici vengono ricondotti alla loro pulsante anatomia. Il lavorio plastico apre lo spazio per questo misterioso commercio: il pieno si fa vuoto, il negativo si converte in positivo, in un ciclo vitale senza sosta. Corrispondenze soggiacenti riemergono, memorie riaffiorano.

28/01/2017

Due giovani artiste, Alix Marie (Parigi, 1989) e Maija Tammi (Helsinki, 1985), in occasione della loro prima personale italiana, espongono presso gli spazi della galleria Matéria dal 14 gennaio al 25 febbraio 2017.

Calco e stampa: attraverso due tecniche cosi diverse le due artiste sondano la natura umana e la sua brama di invincibilità. Con White Rabbit Fever l'artista finlandese Maija Tammi indaga la funzionalità strettamente scientifica della tecnica fotografica, indole che, fin della sua scoperta, fu preponderante rispetto alle sue qualità artistiche intrinseche, che l'uomo inizialmente non intuì poiché si serviva del mezzo come strumento di studi. Le qualità estetiche delle reazioni chimiche vengono portate all'estremo, acquistando un'insospettabile bellezza una volta entrate in galleria.

Le installazioni di Alix Marie per Le Femme Fontaine risultano autofotografiche: i calchi in cemento ammassati sulle piccole fontane sono impronte del suo corpo. Sdoppiamento e insieme rinascita dalle acque, le opere dell'artista francese immergono lo spettatore in un viaggio multisensoriale, invitando a una contemplazione visita e uditiva che svela il proprio rinnovamento.

20/01/2017

La modernità e la violenza dell’Espressionismo astratto incontrano la delicatezza e l’ancestralità dei caratteri tipici della calligrafia cinese, il mondo della tradizione orientale si mescola con la realtà occidentale. Ma è una fusione a freddo, problematica, che lascia grumi e residui non perfettamente amalgamati. Levante e Ponente si scontrano, ma il conflitto è tutto lì, imprigionato sulla superficie di una tela che, accarezzata e straziata al contempo, sembra emanare la tensione che la anima.

 

Di fronte ad alcuni dipinti dell’artista cinese Li Xiangyang (Pechino, 1957) i sensi e la memoria subiscono come un contraccolpo, rimbalzano all’indietro nell’impossibilità di penetrare il groviglio di segni neri che copre l’intera area del quadro, lasciando soltanto frammentari spiragli di bianco. La coscienza rimane spiazzata, forse un pò intontita dalla calibrata violenza delle strisce. È come se gli ideogrammi di un poema fossero esplosi, espandendo i loro pezzi, le innumerevoli linee di inchiostro che li compongono, all’interno di uno spazio bidimensionale vuoto ma asfittico, il quale risulta ancora più claustrofobico dal loro addensarsi in primo piano. Trasformati in duri colpi di pennello, essi però mantengono qualcosa della grazia e della sapienza con cui sono stati vergati. Non vi è alcun desiderio di ricomposizione, se non la volontà di dare una parvenza d’ordine a quel caos non certo privo di eleganza, di contenerlo entro i confini della creazione artistica: si intuisce la persistenza di uno schema, ma non si riesce ad elevarlo a criterio razionale.

 

Sul versante figurativo, la stessa tensione si percepisce in una serie di dipinti che ricordano quasi le tessere del Domino, o quelle del mahjong. Qui il conflitto assume una diversa caratterizzazione psicologica per proiettarsi in una dimensione sociale. Ora è l’artista a sentirsi sospeso, in bilico tra passato e presente, conservazione e progresso; sa che deve sradicare il suo sguardo e renderlo attuale, capace di adattarsi ai cambiamenti della contemporaneità. Ma è uno sforzo tutt’altro che facile, e il tentativo di compierlo ha come esito una frattura: le opere sono divise a metà, in due parti che potrebbero essere l’una il riflesso dell’altra, ma che non sono sono affatto speculari. Una è lo scenario della Cina moderna, con le sue automobili e i palazzi del potere; l’altra è un paesaggio monocromo, simile a quelli che si possono vedere su antichi rotoli. Si potrebbero capovolgere, girare a testa in giù, ma la loro ambivalenza non verrebbe risolta. Perciò l’artista, diventato protagonista della rappresentazione, se ne distacca, librandosi in aria con una leggerezza del tutto incongrua alla pastosa materialità della sua pittura. 

13/01/2017

Realtà e finzione. Kitsch e semplicità. Gli scatti dell'artista americana Martine Gutierrez vertono sul mimetismo dei ruoli e dei generi.
Superando le apparenze si nota il mondo reale, che latente staziona nei grandi set fotografici allestiti ad hoc dall'artista: manichini ovunque, manichini travestiti da donne.
Riflettendo sulla società moderna e sulle differenze di genere, Martine Gutierrez gioca a fare il manichino mimetizzandosi tra loro, assumendone la fissità espressiva.
Il procedimento simulatorio è messo in atto in tre serie di fotografie, tutte popolate da donne-manichino, che indagano le relazioni tra gli individui e il loro modo di rapportasi con l'altro. Donne sensuali abbigliate chic si alternano a donne sole, rinchiuse nelle gabbie delle mura domestiche e schiacciate dalla servile quitodinità; donne impossibilitate a parlare, alla rivolta, fotografate in pose a volte stereotipate, a volte perverse.
Donne bambole, ad uso aperto: non è facile riconoscere il volto dell'artista tra quelli in plastica, solo soffermandoci notiamo la differenza.
Che sia sintetico o di vera carne, il mondo di Martine Gutierrez, messo come in vetrina nel corso della sua mostra personale Humannequin alla galleria Annamarra Contemporanea, ci invita a riflettere sul ruolo sociale della donna e sulla permanenza dei troppi standards, moderni o postmoderni, che la riguardano.

02/01/2017

In un’epoca tecnocratica radicalmente mediale (-post o -iper poco importa), l’artista americano Gregory Hayes (Buffalo, 1980), in occasione della sua prima personale a Roma presso la Galleria Francesca Antonini, è più che mai deciso a dichiarare una netta inversione di tendenza.

 

Nell’età dominata dai pixel e dal virtuale, elementi di una realtà-non realtà che tende a svalutare in maniera progressiva ogni concezione o pratica artistica tradizionale, in un mondo dove manuale ha assunto una connotazione irrimediabilmente passatista e analogico suona alle orecchie dei più come una termine soffuso di anacronistica nostalgia, I am the sun vuole essere una rivendicazione delle potenzialità estetiche che (ancora) animano la “logica del quadro”.

 

Materia allo stato puro, ritmi geometrici e composizioni ornamentali. Ogni singola goccia di colore, applicata sulla superficie bianca con tocchi pizzicati, racchiude in sé una gamma cangiante dalle possibilità illimitate. Queste configurazioni agiscono come lenti prismatiche dalle infinite sfaccettature, creando movimentazioni psichedeliche minimali capaci di stimolare la sensibilità ottica e la curiosità cromatica dell’osservatore, costretto, o forse invitato, ad avvicinarsi alle tele per innescare un’esperienza sottilmente processuale.

 

La ricerca di Hayes si configura come una sorta di posologia della pittura, un’analisi attenta di equilibri e rapporti orientata all’esplorazione delle sue (innumerevoli) modalità creative all’interno di (pur sempre rigorose) regole espressive.

19/12/2016

Lo spazio della Fondazione VOLUME! si frantuma mettendo in scena le opere dell'artista Felix Schramm dal 1 dicembre al 13 gennaio 2017.
Lo sparo di un proiettile non avrebbe provocato lo stesso frastuono delle opere esposte. Più che esposte, catapultate. Duo si presenta come una mostra esplosiva, ma è attraversata da un rumore di sottofondo: sappiamo che c'è, eppure non si sente nulla. Le opere sembrano spaccare le mura delle galleria, escono con prepotenza dalla parete. La cosa più naturale da fare è entrarci dentro, girarci attorno, studiarne la spontaneità in quanto grandi scheggie di legno colorato. La luce crea ombre che fanno da anima ai grandi frammenti, come resti di un passato che torna potente. Una sceneggiatura, forse drammatica, quella scritta di Felix Schramm, che con Duo ha saputo creare vortici barocchi dai volumi non definiti e taglienti.

14/12/2016

Cosa succede quando le frizzanti menti dei ragazzi di liceo si uniscono alla genialità di artisti a tutto tondo? Il risultato è Made and Told. Il Made in Italy raccontanto dai giovani. Una mostra che chiude il progetto che nasce dalla collaborazione di alcuni studenti dell'Istituto "L. B. Alberti" e cinque tra artisti e designer con residenza al Pastificio Cerere. Una riscoperta del made in italy attraverso la visione fresca e creativa di giovanissimi e artisti affermati, insieme nella creazione di opere originali. Tra abiti minimal, gioielli contemporanei, materiali innovativi nati dagli scambi di idee emersi durante i workshop, gli spazi del Pastificio prendono vita sotto una luce nuova. A parlare per loro, oltre alle opere in mostra, è anche lo storytelling digitale, una tecnica dove tradizione e innovazione si fondono. Come valorizzare il nuovo, il contemporaneo in senso stretto? Il pastificio ha la giusta risposta.

29/11/2016

In contemporanea alla mostra collettiva appena conclusasi presso l’American Academy in Rome, Jeannette Montgomery Barron presenta 14 fotografie inedite della serie Mirrors in una personale ospitata negli spazi della galleria Magazzino Arte Moderna fino al 9 dicembre.


Opere singole, dittici e trittici ritraggono specchi nell’attimo di riflettere qualcosa. Sono degli autoritratti non solo della stessa artista, ma delle sue emozioni: il volto e la presenza fisica sono soppiantati dalla rifrazione del mondo esterno, come figurazioni di stati d’animo colti nell’esposizione di qualcosa che viene visto e resi unici nel modo in cui vengono visti.
L’intimità ritrovata in questi oggetti comunica con prati verdi curati e rigogliosi come attimi sereni, mentre visioni in un’agitazione movimentata fanno sfumare i contorni e lirici riflessi neri e opachi inducono la volontà di un avvicinamento interpersonale.

28/11/2016

La condizione umana di meraviglia e stupore di fronte una nuova scoperta vitale anima i lavori di Isabella Ducrot, che espone presso la galleria MAC Maja Contemporanea dal 24 novembre al 14 gennaio 2016.

Il paradiso è perduto. Il grado zero si orienta verso un mondo nuovo, totalmente estraneo alle figure dai neri e sinuosi contorni che popolano i suoi disegni. La carta, simbolo della natura, è sempre presente in questi lavori, dei collage quasi primitivi. Pochi colori dominano le composizioni: il bianco del candore, il verde smeraldo della natura madre e il nero dei profili e delle griglie alle spalle delle figure. La griglia come simbolo di rinascita, con le sue linee verticali e orizzonatali su cui il mondo si è formato prendendo posto nel creato. Le figure scrutano ció che le circonda con piacere, conoscendo anche i mali ai quali andranno incontro nel loro arduo cammino. Eros e Thanatos sono i nuovi compagni di viaggio e offuscano, con tutte le loro sfumature, le bellezze dell'Eden andato ormai perduto.

17/11/2016

Possono forme artigianali ideate secoli fa sopravvivere ed essere reinterpretate con originalità? L’artista brasiliana Adriana Varejão fornisce la sua risposta affermativa con una mostra dei suoi recenti lavori alla Gagosian Gallery

 

Nati in terra lusitana, gli azulejos, le tradizionali mattonelle in maiolica dipinta impiegate come elemento decorativo nell’arte portoghese fin dai tempi della dominazione araba della penisola iberica, giungono in Brasile alle soglie dell’età moderna percorrendo le rotte transatlantiche dell’espansione coloniale. Da quel momento essi entrano a far parte del patrimonio artistico carioca, aggiungendo alla sua già ricca tavolozza nuove, eleganti note di blu intenso e bianco brillante. 

 

Affascinata dalla varietà tipologico-iconografica e dalla ricchezza dei motivi narrativi di queste terrecotte smaltate, in cui nei secoli hanno trovato espressione le tendenze più diverse (dalle vivaci composizioni moresche alla sobria ornamentazione del Rinascimento italiano, dall’attenzione per il dettaglio della produzione olandese fino all’assimilazione dell’esotismo cinese), l’artista di Rio de Janeiro ha iniziato a studiarle a partire dal 1988, simulandole in grande formato utilizzando gesso e olio su tela. 

 

Metafora del sincretismo culturale e simbolo di un eclettismo figurativo capace di unificare realtà anche distanti tra loro, le opere della Varejão si presentano, con le loro crettature naturali, come una riflessione intima, tradotta in chiave monumentale, della storia del Brasile, di questa terra affascinante dove armonia e conflitto convivono sullo sfondo di un sentimento panico.

12/11/2016

“Specchio delle mie brame” recita la fiaba. L’interrogativo che segue l’invocazione è considerato un adagio della vanità, la domanda rituale che condensa tutte le ansie e i timori sull’apparenza. La risposta dello specchio è concepita per essere sempre la stessa e dare così a chi la cerca rassicuranti certezze. Ancora una volta la bellezza è preservata, rinnovata. Essa può continuare a regnare incontrastata, ignara di tutto il resto e dimentica della sua mortalità. Ma ecco che un giorno, sulla superficie prima immacolata dello specchio, compare una macchia. Il vetro si appanna, una piccola crepa incrina la sua perfetta planarità.

 

Melati Suryodarmo, in occasione della sua prima personale in Italia, presenta presso la galleria Il Ponte alcuni scatti della serie Acts of Indecency. Anche l’artista indonesiana interroga degli specchi, i filtri attraverso cui la società contemporanea stabilisce e impone determinati canoni estetici per irradiarli in riflessi impossibili. Ma a differenza della perfida regina non si aspetta una risposta affermativa, non pretende alcuna compiacenza. Ella, senza indulgenze cosmetiche, mette in mostra il suo corpo, di certo non conforme ai modelli imperanti ma comunque autentico, solo per deformarlo e distorcerne ironicamente l’aspetto. Pose sgraziate, gonne di tulle stazzonate e scarpe col tacco indossate con approssimazione. Le calze a rete e le collant, vessillo di erotiche aspirazioni, vengono riempite con palline e chiodi; le gambe diventano così i tentacoli di un polipo o le irsute zampe di un licantropo. Dov’è l’indecenza? L’oscenità è ciò che lega arroganza e ingenuità.

12/11/2016

L'artista Tris Vonna-Michell presenta i suoi lavori alla galleria T293 dal 24 ottobre al 7 dicembre 2016.

La mostra Register si pone come un percorso tra i diversi media usati dall'artista inglese e si configura come un'indagine sulle pratiche fotografiche e video da lui sfruttate per creare parallelelismi tra vita quotidiana, intesa nella sua intimità, e fotografia come lavoro tecnico. L'immagine viene per così dire decostruita, messa a nudo nel suo processo più umano, attraverso il video Punctuations and Perforation (2016), dove la mano del tecnico taglia, sistema, archivia i fotogrammi. Il video è a completamento della proiezione dell'omonima foto proiettata in un angolo della galleria. Un angolo che ne stravolge la prospettiva tagliando in due lo studio dell'artista, scelto per esaltare la componente intimistica del suo lavoro. I lavori di Tris Vonna-Michell presentano il mondo con estrema semplicità e purezza, ma allo stesso modo ci permetteno di studiarlo meglio dall'interno.

08/11/2016

Lo Spazio Cerere ospita dal 3 al 10 novembre 2016 la personale della giovane artista colombiana Manuela Garcès (classe 1987).

I piccoli disegni su carta e pergamena, racchiusi in scrigni che sono metafora della loro nascita all'interno della scatola cranica, vengono presentati in sequenza narrativa. Le storie partorite da Manuela Garcès scaturiscono dalle fantasie e dai pensieri più reconditi celati dalla ragione, per venire poi trasferite poi su cartoncini dove, tridimensionalmente allestite, stuzzicano le fantesie di chi le osserva cercando di ricostruirle.
Ricordi, fantasie, sogni ricorrenti o meno guidano la mano dell'artista che in stato di estasi li rende manifesti. È possibile entrare in contatto con lei, con le sue fantasie? Guardate la mostra e lo scoprirete.

08/11/2016

Può davvero la ragione indicarci sempre la strada giusta da seguire? Il giusto modo di vedere il mondo? La mostra Aporia, allestita presso Studio 123 fino al 9 novembre 2016, ci propone un'alternativa.

La differenza stilistica degli artisti presentati in mostra crea un cortocircuito sensoriale e percettivo che non permette di ragionare in base a un comun denominatore, ma permette invece di indagare i lavori in rapporto con l'ambiente, con il cosmo che ci circonda. Le dicotomie sono molte ma vengono spazzate via dal serrato dialogo tra le opere, così diverse ma così vicine. Le opere socialiste di Leonardo Crudi (Schiavi e lavoratori) parlano con le dirimpettaie opere di Pietro Pasolini (Mare dentro), mentre le opere di Gaia Di Lorenzo sono sparse nella sede espositiva; tutto sembra cozzare, ma gli artisti presentati ci offrono con media diversi modi originali di vedere il mondo. Il loro e il nostro.
In mostra sono presenti anche le opere di Lucrezia De Fazio, Costanza Chia, Eleanor Begley, Rene Wagner, Carlotta Roma e GB Group.

21/10/2016

Le architetture effimere e illusionistiche del collettivo SBAGLIATO rendono irriconoscibile lo spazio della galleria Varsi, che attualmente ne ospita la mostra personale fino al 13 novembre. Dall'ingresso lo spettatore è diretto verso qualcosa di ignoto e, attraversando un labirinto, scorge quasi di sorpresa fotografie e disegni che riproducono l’elemento ascensionale e discensionale della scala.

 

Dal senso di spaesamento e confusione indotto intenzionalmente dal collettivo, nasce il nome della mostra: Vertigine.

 

Come nelle architetture inattese e generatrici di varchi ciechi nella città, l’istallazione e le opere in essa contenute, inducono un moto incerto e curioso, invocando, appunto, la sensazione prodotta dalla vertigine stessa. 

 

Uscendo si scopre di aver compiuto uno strano percorso: quello che sembrava essere solo un labirinto è in realtà pensato anch’esso come una scala.  Si affacciano dei dubbi: l’abbiamo percorsa verso il fondo o verso la vetta? Abbiamo guardato in basso spaventati dall’altezza e dalla distanza tra noi e il suolo o guardato verso l’alto con la curiosità di arrivare in cima?

18/10/2016

Del grande progetto di Rome Art Week fa parte anche la serie di mostre Transfusioni#2 (a cura di Anna D'Elia e con il contributo di grandi personalità artistiche del calibo di Bianca Menna, Silvia Stucky e Paola Romoli Venturi), che mette in dialogo le opere di Luca Maria Patella (classe 1934) e Federica Di Carlo (1984).

Lo spazio del cielo e la sua luninosità cromatica vengono studiati da entrambi gli artisti, accomunati dalla passione per l'arcobaleno e le sue magiche prospettive. In mostra sono la famosa fotografia di Luca Maria Patella Tessitura solare con arcobaleno e l'opera di Federica Di Carlo Misurazione diffusa, ideata proprio per creare da un capo all'altro della sala un confronto diretto con l'opera del maestro. Entrambi affascinati dal collegamento arte/scienza i due artisti indagano anche lo spazio umano dando la possibilità agli spettatori di misurarsi materialmebte e ontologicamente con esso.

28/09/2016

La Fondazione Pastificio Cerere inaugura la stagione con la mostra Transnational Capitalism Examined: Dancing on Systemically Important Graves un progetto realizzato da Martin Krenn, Oliver Ressler e Zanny Begg dal 2003 al 2014. In mostra l'installazione del 2004 European Corrections Corporation (EUCC) documenta il progetto incentrato sul fenomeno della crescente privatizzazione delle prigioni in Europa e mette in discussione il sistema carcerario all'interno dell'economia capitalistica poiché i detenuti sono impiegati come forza-lavoro e costretti a lavorare per una paga minima. In questo progetto, realizzato per la maggior parte da brevi film e da alcuni digital drawings, entrano in gioco i partecipanti principali dell'economia capitalistica globale: imprese di sicurezza che addestrano alla competitività sociale (The fittest survive 2006), banche (The Bull Laid Bear 2012), eventi climatici estremi (Leave it in the ground 2013), lo sfruttamento del nord del pianeta nei confronti del sud (The visible and the invisible 2014) in cui la Svizzera gioca un ruolo centrale. La critica al capitalismo globale e ai suoi sistemi: bancario, carcerario, commerciale e ai suoi effetti disastrosi sull'uomo e sulla natura. Questo potete vedere, ora, al Pastificio.

23/09/2016

Tessere di carta incollate su tela. Superfici ricoperte con strati di vernice di un unico colore. 

 

Non c’è spazio per il genio: qui si cerca la scientificità.

Monocromi. Astinenza e atarassia. Chiarezza indiscutibile.

Esperimenti dichiarati, come la loro assenza di profondità.

 

L’ispirazione è solo un mito, l’espressione viene messa da parte. Perché da esprimere non c’è nulla, se non la cruda fattualità di un’esile griglia.

 

Struttura, non significato. Automazione, non spontaneità. Definizione, non interpretazione.

Nessun valore, nessuna creazione, nessuna originalità. 

 

Non cercate l’arte. Non la troverete. 

 

Prevedibilità controllata, al posto della libertà del caso. Rigorosità del metodo, che abolisce qualsiasi iniziativa. Ripetibilità del risultato, per valutare dati certi.

 

Sergio Lombardo, psicologo e artista. Fondatore della Teoria Eventualista. Fautore di una ricerca disinteressata e abnegante.

 

Tutto è concepito per non comunicare niente.

Eppure la varietà delle reazioni di fronte a questi schermi sembra dire tutto.

Inevitabili imperfezioni sfaccettano l’esperienza. E cambiano le regole.

21/09/2016

Radente, la memoria staziona nelle menti che la celano. Controluce appaiono certi ricordi, abbaglianti, così prepotenti che non ci permettono di vedere.
La memoria che l'artista istraeliana Maya Zack cerca di ricostruire nella sua ultima videoinstallazione Counterlight, esposta alla galleria Marie-Laure Fleisch, è composta da frammenti, ossessivamente indagati e assemblati con la cura di un archivista. La vita del poeta Paul Celan viene vivisezionata, come se di volesse poi farla rivivere attraverso le donne a lui più care, in questo caso la madre. Una ricerca accurata che porta a far usare alla protagonista del video gli strumenti di colui che cerca la verità, come in un indagine che vuole portare alla luce gli orrori di vite spazzate via. Si. C'è ancora arte dopo Auschwitz.

16/09/2016

Nel linguaggio comune la parola “scarabocchio” indica qualcosa di amorfo, un groviglio insensato di linee, manifestazione di un’espressività nervosa o infantile. Emerge spontaneamente, chissà da quali recondite profondità dell’inconscio, e prende l’aspetto di un vorticoso, frenetico abbozzo irrazionale. Frutto di una micro-isteria, di un istante di pura e subito sublimata schizofrenia manuale, di esso solitamente non ci si cura. Semmai si può rimanere momentaneamente affascinati dal suono di questo strano vocabolo, dalla sua anomalia fonetica. Eppure ne sono pieni i quaderni, le pagine spiegazzate dei libri di scuola. I block notes a fianco del telefono, dove fanno capolino accanto a numeri copiati in fretta e furia, o gli innumerevoli post-it colorati sparsi per la casa. 

L’artista tedesca Jana Schröder, in occasione della sua prima personale presso la galleria T293, rivaluta e dà un nuovo significato al concetto di scarabocchio. Come la gestaltung di neurologica memoria, emergenza gestuale di uno stato di alterazione psichica, i dipinti esposti sono i documenti visivi di un’impulsività feconda dalla forte carica liberatoria. Gli strati inestricabili di segni tracciati con matita copiativa e colori a olio diventano così itinerari catartici da percorrere vacuamente, lasciando che, come la luce lentamente dissolve i tratti a matita in un processo naturale, anche lo sguardo vaghi in uno spazio-tempo piacevolmente erratico.

09/07/2016

La discesa della notte, aulicamente evocata attraverso l’espressione latina che dà il titolo alla prima personale del graffitista Gomez presso la Galleria Varsi, Nox Omnibus Lucet, sovverte, sia dal punto di vista lessicale che concettuale, il biblico fiat lux, proclamazione del potere di un’intelligenza divina ma anche motto della presunzione demiurgica di chi si illude di illuminare il mondo con la sua rassicurante saggezza. Non la luce, con i suoi bagliori accecanti, bensì le tenebre, grembo materno portatore di una vita insospettabile. Un buio, agognato e sommessamente invocato, in cui l’umanità sembra realizzarsi, ritrovando la propria intima essenza nella verità crepuscolare che emerge dall’erebo profondo di ciò che è latente e nascosto all’inquisizione diurna.

Perché la notte non è un momento del tempo né un luogo dello spazio. È uno stato mentale di ineffabile pace, la fase in cui la coscienza, divenuta finalmente consapevole di se stessa e dimentica di tutto il resto, si disperde, inabissandosi nelle torbide, placide acque dell’oblio, riscatto finale dalle reiterate agonie del giorno.

06/07/2016

Fino al 30 luglio Matèria Gallery presenta la personale Concrete Archive di Stefano Canto. In mostra sono un gruppo di opere del 2015 e lavori più recenti del progetto Archeologia dell’Effimero.

 

La mostra si oppone all’idea contemporanea, spasmodica ed esasperata, delle effimere realtà dei tempi più recenti, riferendosi in particolar modo alle nuove tecnologie, a internet, ai nuovi mondi generati da una realtà virtuale senza confini in grado di rifondare linguaggi, rapporti fra oggetti e relazioni fra esseri umani. Sull’orlo del baratro Canto sente il soffio del delirio di un’intera epoca e allora utilizza per le sue opere un materiale resistente: il cemento. “La cosa peggiore da vedere per i vivi è l’immonda, amorfa, innominabile pozza putrefatta. La pietra respinge il marcio con il solido, trascende il vile con il marmo o l’ossidiana. Catarsi ottica. L’invenzione dell’effige, questa contro-metamorfosi dall’informe alla forma e dal molle al duro, preserva gli interessi vitali della specie” (Régis Debray, Vie et mort de l’image, pp.37-40)

06/07/2016

Dopo il grande successo di Any Given Post-it la White Noise Gallery propone un nuovo grandioso progetto selezionando 47 opere di artisti di vario genere, da scultori a street artists. L'iniziativa, Any Given Book, vuole partire da un oggetto semplice ma allo stesso tempo carico di storia e atemporalità come il libro per lasciare che gli artisti se ne approprino ognuno secondo il proprio punto di vista.

Parola dopo parola, pagina dopo pagina, cosí la storia viene scritta. Le opere esposte si fondono in una trama fitta di eventi e rievocazioni, scegliendo la forma del libro d'artista trasfigurato (Omino71 feat. James Dylan Ray in  Ready Fake) oppure l'oggetto in sé, che non compare ma viene sapientemente evocato (Roberto Fanari in Composizione n.1). Il libro viene maltrattato, esposto nella sua interezza, cambiato, bruciato, fino a farlo emergere nella sua essenza più profonda. Viene scomposto, trattato come un reietto, per riscriverlo nel linguaggio moderno secondo diversi modi d'espressione. Il grande progetto offre la possibilità di cogliere molte personalità artistiche eterogenee mettendole a confronto a partire da un tema comune.

30/06/2016

La parola palinsesto (da greco pàlin-psestòs, ovvero “graffiato di nuovo”) indica il procedimento di cancellatura e riscrittura che ha interessato i manoscritti antichi tra il VII e il IX secolo, periodo in cui molti testi su pergamena sono stati raschiati per riutilizzarne il supporto. Si vennero così a creare, attraverso continue sostituzioni, sovrapposizioni testuali anche molto complesse e stratificate, testimonianze uniche sedimentate nel Tempo.

L’artista americano Davis Schutter (1974, vive e lavora a Chicago), attualmente in residenza all’American Academy in Rome, recupera con interesse filologico questo procedimento, frutto talvolta casuale dell’incessante lavorio della Storia, reinterpretandolo in chiave grafica al fine di produrre lavori su pergamena in cui, come sulle antiche tavolette ricoperte di cera, segni corsivi, referenti di una scrittura intesa come supporto mnemonico, si affastellano e si rincorrono generando configurazioni sempre nuove. Rifiutando l’idea di tabula rasa insita nel candore virgineo del foglio di carta, Schutter concepisce la membrana pergamenacea come uno strumento attivo del fare artistico, una lavagna mobile che permetta un accumulo funzionale al pensiero, un’”arena per una ripetuta e variabile performance gestuale”.

14/06/2016

L’idea dei “bouquet impossibili” nasce nell’Olanda del XVII per indicare insiemi di fiori che non sarebbero potuti coesistere nella realtà, per incompatibilità stagionale o geografica. Per effetto della globalizzazione commerciale oggi è però possibile creare ciò che prima era solo fantasia.

 

Taryn Simon (1975, vive e lavora a New York) recupera questa concezione, tanto poetica quanto spettacolare, per riflettere sulla relazione ossimorica tra la presunta stabilità del potere, politico ed economico, e l’effimera durata della bellezza naturale, legate da un rapporto di inversione: forme di potere decadono e si dissolvono, mentre i fiori durano nel tempo.

Attraverso un’attenta analisi della documentazione d’archivio l’artista ha recuperato le fotografie dei più importanti trattati e accordi internazionali riconoscendo e catalogato ogni esemplare delle composizioni floreali presenti al fine di ricrearle e fotografarle su sfondi a campiture bicromatiche che richiamano i luoghi in cui i fatti sono avvenuti.

Paperwork and the Will of Capital è un’elegiaca dissertazione sulla caducità del potere, sull’esibizionismo, narcisista e spesso ipocrita, che mette in mostra solo il lato elegante della diplomazia. Mentre allo stesso tavolo debolezza e precarietà vengono nascoste dietro a un vaso.

27/05/2016

Spazio Cerere ospita dal 27 maggio al 1 giugno la personale di Leonardo Crudi, artista romano, classe 1988.

Riprendendo il concetto intrinseco al costruttivismo di arte come pratica diretta verso scopi sociali - abolendo quindi l'arte per l'arte - Leonardo Crudi ci presenta personaggi della classe operaia chini sui loro campi o alienati dalla pratica lavorativa. Eseguiti a tratti di biro i personaggi, carichi di una realtá dissociativa, si stagliano su fondi geometrici di origine suprematista che ne inquadrano e indagano i significati. Non un'arte rivolta a se stessa e ai suoi esiti
quindi, ma opere che recuperano l'aspetto processuale e creativo del fare in una realtà che sa di magia.
 

26/05/2016

Pagine, pagine e ancora pagine. Fogli dappertutto. Strappati, accartocciati, svolazzanti; affissi, inchiodati, appiccicati. Fogli martirizzati, messi in croce, ma senza grandi sofferenze. Il dramma, il racconto, è lasciato all’interno di narrazioni interrotte; semmai rimane come residuo vago, un’eco aleggiante che promana da concrezioni di carta quasi vive, organismi di pura cellulosa protesi e innalzati nello spazio. Attecchiscono alle pareti come piante parassitiche, oppure diventano rigogliosa vegetazione che cresce innestandosi su supporti improbabili di cemento e acciaio. I riferimenti alla botanica d'altronde sono evidenti: le parole si diffondono come polline, diffuse da stami che rilasciano nell’aria un pulviscolo testuale il cui significato si può solo respirare.

Fondazione Giuliani presenta le sculture-installazioni dell’inglese Michael Dean (Newcastle upon Tyne, 1977), recentemente selezionato tra i candidati per l’ambito Turner Prize. L’artista, che vive e lavora a Londra, propone un’analisi del linguaggio scritto in termini visivi e spaziali, realizzando configurazioni composite che reinterpretano i caratteri tradizioni della scultura, pensata solitamente con solida pesante, attraverso la leggerezza degli elementi naturali.

19/05/2016

Rob Sherwood riflette sulla relazione e reciproca influenza tra pittura tradizionale e immagini commercializzate del mondo digitale. Esemplari sono le opere della serie The White Palm Trees in cui vengono riprodotte immagini pubblicitarie di isole tropicali, mentre i Blow Ups, riproduzioni pittoriche di frammenti ingranditi di opere da lui eseguite, mostrano una riflessione sul dipinto del dipinto, sulla copia e sulla possibilità di una nuova estetica.

In un contesto spesso impersonale creato dai mezzi di comunicazione di massa, l’artista lancia agli spettatori uno spunto di riflessione sulla possibilità di emersione della personalità privata, emblematicamente tradotta nella domanda “WHAT IT THIS VOICE?” dipinta in grassetto nell’opera Junksman’s laments #2.

12/05/2016

La Fondazione Memmo presenta Monday, mostra personale dell'artista francese Camille Henrot, a cura di Cloé Perrone. L'esposizione è primo capitolo di un progetto più ampio che prevede la trattazione di tutti i giorni della settimana.

 

Le opere in esposizione di Camille Henrot sono composte da una serie di sculture in bronzo tra il figurativo e l'astratto e da alcuni affreschi che giganteggiano nelle pareti della fondazione. Tutti i lavori traggono ispirazione dal primo giorno della settimana, il Lunedì appunto, e dall'influenza che esso ha sulla vita dell'uomo. Per antonomasia il dì della Luna viene considerato la giornata più impegnativa e malinconica dell'intera settimana, infatti è ha da sempre determinato la fine del “dì di festa” e l'inizio del tempo dedicato alla fatica e al lavoro.

08/05/2016

Anna Marra Contemporanea ha prorogato fino al 12 maggio The History of Bleach, la personale di Sean Crossley (Melbourne, 1987; vive e lavora a Bruxelles), il quale si interroga sulla sopravvivenza e la legittimità della pittura oggi, nell’era dominata dal digitale e da tecnologie mediali che, nella loro corsa verso l’istantaneità, tendono ad annullare lo spazio tra pensiero e azione.

 

Ben lungi dal manifestare un atteggiamento nostalgico, le tele di Crossley sono il tentativo di ricollocare la pittura all’intersezione tra passato e presente, tra la sua ineludibile storia e il tempo attuale in cui essa si situa. Il linguaggio visivo che ne scaturisce non è basato sulla lentezza di una progettazione graduale, come vorrebbe la tradizione figurativa, bensì su quei caratteri che sono propri della modernità e contraddistinguono le nostre attitudini percettive in un mondo che muta continuamente. Libertà gestuale e velocità esecutiva diventano così i modi in cui l’esperienza della realtà, molteplice e complessa, trova la sua fissazione nelle vorticose sovrapposizioni che si addensano sulla superficie, in una «scalettatura imprevedibile di discese e risalite che appaiono come un brivido ininterrotto» (R. Gavarro, curatore della mostra).

06/05/2016

 Ospite presso la Matèria Gallery è la prima personale italiana della giovane (nasce nel 1992) artista cinese Xiaoyi Chen, dal titolo The Inadequacy Of Language.

Nelle opere di Xiaoyi Chen confluiscono le filosofie orientali e l'astrazione pittorica strettamente occidentale, creando un universo ancestrale e meditativo. Attraverso la pratica della fotoincisione l'artista segna l'indefinitezza dei dettagli offrendo uno spunto per una diversa percezione del mondo, staccata dall'ordinario, dove le parole sono inadeguate per descriverlo.

06/05/2016

Gli spazi del Pastificio Cerere accolgono la sesta e ultima mostra del ciclo ideato da Marcello Smarelli per celebrare i 10 anni di attività della Fondazione. Il nuovo testimone del fervore intellettuale di questo laborioso decennio è Marco Tirelli (romano, classe 1956), che ci chiama a percorrere le infinità di territori interiori.

 

Evocando l’idea dello studiolo rinascimentale come contenitore di oggetti esemplari capaci di espandere la conoscenza del mondo fenomenico, l’artista crea il suo personale coagulo di meraviglie attraverso una serie di immagini che, rimandando a un vissuto gravido di memorie, costituiscono vertiginose aperture su universi simbolici. Le pareti vengono così idealmente dilatate da disegni che rappresentano elementi decontestualizzati di una realtà per noi insondabile, e grandi cerchi neri che, come i buchi cosmici di cui sono metafore, sembrano attrarci nel loro vuoto. Finestre dalla forma di oblò spalancate sugli abissi della coscienza, squarci da cui emergono geometriche astrazioni o soglie ai confini di dimensioni altre, questi esercizi della visione sono un invito a gettare lo sguardo al di là delle apparenze.

05/05/2016

Tricromia presenta New Yorker e dintorni una mostra di Andrea Ventura. L'artista, che per molti anni ha lavorato a New York realizzando molti disegni per importantissime testate giornalistiche, espone in questa occasione alcuni dei ritratti che gli hanno valso una fama internazionale.

 

I colori sgargianti degli sfondi che sembrano riprendere gli stilemi delle icone nella Pop Art, esaltano la severità delle espressioni nei volti dei ritrattati, rimarcati dall'uso dei toni freddi del grigio. I personaggi effigiati a mezzo busto, sono ripresi di profilo o di tre quarti, e rievocano la compostezza della numismatica antica. Il parallelismo è accentuato dall'uso di sovrapposizioni di carta e cartoncino che connotano i tratti somatici del volto evidenziando, come in un bassorilievo, le caratteristiche espressive alle quali è lasciato il compito di tramandare l'essenza e la storia del personaggio.

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