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Vivere nel tuo corpo

“Quante volte ci siamo chiesti

-a proposito degli orrori del passato-

come poteva il resto

del mondo stare a guardare?

Oggi lo sappiamo.”

Morìa di profughi, da Il Pensierino di Vivian Lamarque

Le performance di Carlos Martiel colpiscono come un colpo di fucile la coscienza dello spettatore. Il proiettile si ferma lì, a pochi centimetri dal cuore, in attesa di esplodere.

Dopo aver visto un corpo segnato, maltrattato, tradito, trafitto, stremato non resta altro che il desiderio di riscatto, la frustrazione per il fatto di non poter far nulla; rimane solo l’ira, perché si può solo stare a guardare.

Chi ha la colpa ne esce indenne, forse se ne va con un vago senso di colpa, una voce fuoricampo che sussurra: sei tu il responsabile. Chi è innocente porta i segni sul corpo di un sacrificio che non era voluto, nessuna medaglia al valore ma solo croci di legno anonime e bare grandi e piccole.

Carlos Martiel, Expulsión, 2015. Photo by Dimitris Mermigas, Courtesy of Rossmut Gallery

L’Europa guarda attenta a ciò che accade, vede il sangue scorrere a fiumi e le anime perse vagare in uno pseudo-purgatorio. Martiel lo sa bene, si fa cucire le 12 stelle europee sulla pelle (Expulsión, 2015). Espulsi come ospiti non graditi, come insetti pericolosi che l’artista cerca di eliminare cospargendo il suo corpo di insetticida (Plaga, 2016).

Martiel lavora con il suo corpo in modo violento e pericoloso per far riflettere su ciò che l’umanità guarda da lontano e la società considera con sospetto: immigrazione, xenofobia, ingiustizie sociali ed emarginazioni.

Un sacrificio fisico e morale il suo: far pesare sulle coscienze umane il fardello della consapevolezza di ciò che vediamo, immagini che, se nelle mura della galleria d’arte ci colpiscono per la loro forza iconica, nella realtà corrispondono a vittime vere, quotidiane.

Durante il vernissage della sua personale alla Galleria Rossmut, l’artista cubano ha preparato una performance per l’occasione: si sdraia all’interno di una bara di vetro, una sorta di teca come quelle in cui si rinchiudono i rettili, con la scomoda compagnia di mosconi, e vi rimane immobile, per un’ora. Una carcassa succulenta per i parassiti della putrefazione: quel ronzio prepotente e incessante che invade la stanza serve a inscenare una finta morte con lo scopo di per ricordare quella vera, il senso di opprimenza mortifera che grava come un macigno sulle spalle di tutti.

Carlos Martiel, Mar sin orillas, 2016; performance at Rossmut Gallery. Photo by Annamaria La Mastra, Courtesy of Rossmut Gallery

La discriminazione razziale emerge da tutte le opere del giovane artista, che si fa vittima e attore allo stesso tempo.

I lavori di Martiel fanno sì che non si giri la testa dall’altra parte, che non si faccia finta di nulla, e ci ricordano quello che succede nel mondo una volta in più: verità scomode che destabilizzano la nostra quotidiana inconsapevolezza.

Più che nel suo corpo, Martiel vive nei corpi degli altri, delle minoranze, di coloro che ogni giorno combattono contro una presunta diversità che divide le razze umane basandosi unicamente sul colore della pelle o sullo status sociale.

Denuncia umanitaria che crea le basi per offrire una speranza a persone sconosciute, discriminate e bisognose di un portavoce. Carlos Martiel con la sua arte si mette in gioco, chiedendoci di vestire i panni di un altro. Forse un

non–vivere nel proprio corpo, ma in quello degli altri, in un circolo empatico senza fine.

Rossmut [Roma, Via Dei Reti 29/b]

rossmut.com

Vivere nel tuo corpo

CARLOS MARTIEL

A cura di Diego Sileo

6 dicembre 2016 - 17 aprile 2017

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