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Anything to say

Anything to say è a Roma.

Il gruppo scultoreo, composto da tre statue in bronzo raffigurate in piedi ciascuna su di una sedia e riproducenti tre uomini viventi (Edward Snowden, Julian Assange e Chelsea Manning) ha macinato moltissime miglia nell'ultimo anno, andando da Berlino a Parigi, da Perugia a Belgrado. Quasi un paradosso, visto che i tre protagonisti, per aver rivelato scomode verità, hanno compromesso e perso la propria libertà individuale. Ma come da sempre accade, la scintilla divampa e la circolazione delle idee non può essere arrestata.

Un progetto itinerante quello pensato dell'artista Davide Dormino, che nasce per spostarsi e non trovare mai posa. Qui a Roma ha ricevuto il sostegno dell'Università 'La Sapienza', luogo simbolo del sapere, e non è di certo un caso che la scultura abbia trovato riparo proprio davanti l'ingresso monumentale dell'ateneo. Anything to say é un monumento al coraggio, e cosa meglio del luogo principe della scienza e della cultura può incarnare lo spirito indomito che rende capaci di affrontare minacce e impopolarità per amore della conoscenza e della verità.

Davide Dormino, Anything to say. General view

L'artista ci invita a compiere un gesto semplice, seguendo gli esempi mostratici da Snowden, Assange, e Manning, e di tutti i personaggi che nella storia hanno scelto di esporsi e senza i quali, forse, noi, vedendo una sedia vuota al centro di una piazza, ci saremmo limitati ad occuparla per starcene comodamente seduti.

«Noi siamo i veri nemici di noi stessi». Pronunciando queste parole di fronte a una folla di giovani, l'artista prende posto in piedi sulla quarta sedia rimasta vuota, accanto ai tre eroi del nostro tempo. Spesso si parla di eroi quando si usa la locuzione “personaggi controversi”, ma è solo un modo per mascherarli, per insinuare quel germe di dubbio che tra la gente diffonde l'infezione virale dello scetticismo. Noi siamo i nemici di noi stessi perché ci lasciamo avvincere dall'inettitudine e dal desiderio di coltivare ciascuno il proprio piccolo orticello senza guardare il mondo oltre l'orizzonte della siepe che chiude il nostro sguardo.

Davide Dormino, Anything to say. Rear view

Dobbiamo cambiare la prospettiva da cui siamo soliti osservare il mondo, magari iniziando con l’innalzarci di tre spanne salendo su una sedia. È un gesto simbolico. È un inizio. Solo «se abbiamo il coraggio di sapere abbiamo la possibilità di scegliere da che parte del mondo vogliamo stare». Con queste parole Davide Dormino conclude il suo intervento, invitando gli spettatori a salire sul quarto supporto per dire ciascuno la propria verità o anche soltanto per cambiare punto di vista, diventando così parte integrante dell'opera.

La quarta sedia brilla, poiché i piedi che hanno poggiato il loro peso su di essa hanno piano piano levigato il metallo fino a renderlo lucido. Sono molti i passi che essa ha sorretto, come molte le idee che ha sostenuto e che continuerà a sostenere.

Ci sarà sempre colui che, nascondendosi tra la folla noncurante di ciò che accade intorno a lui, continuerà a giocare al suo solitario, ma ci sarà sempre anche chi, salendo in piedi sulla sedia e rivolgendosi faccia a faccia ai tre protagonisti e condividendo con loro lo stesso piedistallo, inizierà il proprio cambiamento con un esame di coscienza dicendo: «Che ci Faccio Qui?». Così ha fatto Fabrizio Pizzuto, curatore della mostra Che ci faccio qui? presso il MLAC Museo Laboratorio di Arte Contemporanea dell'Università La Sapienza, visitabile fino al 12 gennaio 2017.

Università 'La Sapienza' [Roma, Piazzale Aldo Moro 5]

anythingtosay.com

Anything to say

DAVIDE DORMINO

6 dicembre – 13 dicembre 2016

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