Io C'ero
Il MLAC (Museo Laboratorio d'Arte Contemporanea) presenta Che ci faccio qui? Una mostra a cura di Fabrizio Pizzuto che attraverso le opere di Andrea Aquilanti, Davide Dormino, Silvia Giambrone, César Meneghetti e Marina Paris, traccia un percorso che attraverso l'arte ci conduce a una riflessione esistenziale sulla nostra presenza nel mondo.
«Voi siete qui» è l'avviso che troviamo scritto sulla planimetria del museo affissa all'ingresso della sala, unico mezzo d'orientamento a disposizione ed unica rassicurazione. Il punto cardinale da cui prende avvio la nostra partenza con l'abbandono della riva certa. Un passo segue l'altro, lento e cadenzato. Difronte a noi un uomo di spalle cammina lungo la spiaggia di pietrisco di un fiume o di un lago. É Beloved Ones 7 There is a Future in Our Past (2013) di César Meneghetti, un video proiettato ad altezza pavimento, e che crea un varco o una cesura tra la porzione di spazio e di tempo che da spettatori occupiamo e quel tratto che l'uomo di spalle, inesorabile, continua a percorrere fino ad immergersi completamente nelle acque. Il preludio di un suicidio a cui immobili assistiamo, come se fosse il nostro, come se di fianco a noi Virginia Woolf, con un pesante sasso nella tasca del lungo cappotto, ci accompagnasse lungo la strada fino a vedere scoppiare l'ultima bolla d’ossigeno.
Davide Dormino, L'Ipocrita, 2012
Un gigantesco cranio umano in legno di faggio riverso sul lato sinistro, come se dormisse, è L'Ipocrita: Grandi Funerali per il Defunto Principe (2012) di Davide Dormino. Una riflessione la sua, che ci precipita nella materialità della nostra esistenza, dove giace il principio della nostra ineluttabile finitezza. Che sventura non esserci più, Amleto pronunciava le sue parole tenendolo stretto in una mano, ora noi, potremmo sdraiarci al suo fianco sussurrando. Marina Paris presenta Underconstruction 11/12 (2015) due fotografie ingrandite fino a simulare lo sfondamento della parete in un altro spazio, che mostra l'interno di un corridoio di due edifici fatiscenti, una volta forse abitati, ma oramai desolati, abbandonati anche dai remoti ricordi.
Silvia Giambrone partecipa con due lavori, uno è Vertigo, opera composta da 9 coppie di immagini di oggetti di uso domestico, scannerizzati e stampati su carta da pacco, racconta una saga di cui le semplici cose sono protagoniste. Una lotta duale, tra dei chiodi e degli stuzzicadenti, tra un piatto incrinato e un paio di forbici, oppure un matterello e un tessuto stropicciato, tutti oggetti di cui ciascuno di noi ha un'esperienza tattile, una propria familiarità; tutti oggetti che potenzialmente potrebbero violare la nostra umana presenza. La seconda opere è la scultura Nobody's room (2015), opera che dà anche il titolo all'omonima performance, è composta da aste dove non sono alloggiati dei microfoni, ma oggetti da cucina, come una mezzaluna o un pelapatate, che sottolineano così la difficoltà da parte dell'oratore di riuscire a veicolare il proprio messaggio. Prendono parte alla performance, oltre all’artista, anche tre attori: Davide Enia, Dalila Cozzolino e Andrea di Palma. Per prima Silvia Giambrone si posiziona dietro l'asta con la mezzaluna di metallo e, adagio, con estrema lucidità inizia a recitare un testo liberamente tratto da Indicazioni stradali sparse per terra del poeta bosniaco Nedzard Maksumic, una serie di venti punti scritti per sopravvivere a una guerra. L'artista elimina gli espliciti riferimenti alle tragicità della guerra per trasformare il testo in un decalogo per sopravvivere nel nostro ambiente domestico.
Marina Paris, Underconstruction 11/12, 2012
Rimangono impresse nella mia testa alcune parole, come dei moniti da seguire: «bisogna non avere paura di niente. La paura genere altra paura e blocca»; «Bisogna non lasciare lavori a metà»; «Bisogna proteggere i ricordi, le fotografie, le prove scritte del fatto che si è esistiti»; «Bisogna non legarsi alle cose, alla terra, ai muri, alle case, ai gioielli,» poi più nulla. Una cacofonia di parole e suoni che si sovrastano l'un l'altro ostacola qualsiasi possibilità di comprensione. Uno alla volta ciascun attore ha preso il suo posto dietro un'asta ed ognuno, con un ritmo diverso della voce, inizia a recitare lo stesso brano. Uno sembra parlare tra sé e sé autoconvincendosi dell'esattezza di quello che dice mentre un'altro parla come se stesse annunciando dei titoli di giornale. Nessuno si ascolta, e tutti si evitano. Per rintracciare il filo del discorso allora si deve far leva sulla vista, leggere le parole dalle labbra, ed ora notare quanto siano così pericolosamente vicine alle lame taglienti di quegli oggetti domestici che sostituiscono i microfoni.
Andrea Aquilanti, nel rivolgerci un saluto di commiato finale, con Noi non siamo qui sfonda illusionisticamente la parete di fondo del museo creando l'impressione che l'area espositiva si prolunghi oltre i limiti dello spazio, mentre il monito del titolo, ci ricorda la precarietà e la caducità della nostra esistenza.
MLAC - Museo Laboratorio Arte Contemporanea [Roma, Università 'La Sapienza', Piazzale Aldo Moro 5]
Che ci faccio qui? a cura di Fabrizio Pizzuto
Andrea Aquilanti, Davide Dormino, Silvia Gamberone,
César Meneghetti, Marina Paris
15 Novembre – 12 Gennaio