Storie di ordinaria follia
Pazzo, folle, stolto. Tòcco, ebete, imbecille. Ma anche sciocco, deficiente, imbranato.
Quanti vocaboli per esprimere ciò che va contro la norma, ciò che si oppone al senso comune, alterato rispetto a una presunta e originaria condizione di equilibrio.
Lo spettro semantico è ampio, la casistica pure. Si va da una condizione di tenace stupidità a una di innocente disorientamento, dall’ignoranza più turpe alla semplice distrazione. Ciò che accomuna queste situazioni è comunque uno sviamento, una caduta al di fuori di margini definiti, uno sconfinamento, seppur talvolta ingenuo, all’esterno dell’aurea sfera del riconosciuto e del concesso, del lecito e dell’auspicabile.
Hieronymus Bosch, La pietra della follia, 1494 ca., Madrid, Museo del Prado
Lapsus. Inciampo. Gioco di parole.
Si tratta di un ribaltamento, anche se momentaneo, di una necessariamente rigida scala di valori. Saggezza, compostezza, eleganza. Tutto ciò che non rientra in questi parametri deve essere espulso, represso, emarginato. L’ordine deve prevalere sul caos, la sapienza sulle barbarie, la conoscenza sull’idiozia. La razionalità sulle passioni.
La compensazione deve sempre riempire la mancanza, saturarne la vuotezza.
Siamo malati? Dobbiamo guarire? Il germe del dubbio si insinua nella fragile psiche.
C’è chi lo crede. Come il sempliciotto protagonista di questa parabola al rovescio, la cui morale non sottende alcun insegnamento, il cui
compimento non determina nell’ascoltatore alcuna elevazione, intellettuale o spirituale che sia. Biasimiamo il personaggio per essersi fatto abbindolare con tanta facilità da un palese ciarlatano, da un sedicente cerusico fin troppo simile a certi sapienti improvvisati del nostro presente. E la sentenza ci fa sentire padroni di noi stessi, consapevoli che mai potremmo cadere in un simile tranello.
È come la repulsione che proviamo per il Filottete di Sofocle: cerchiamo di essere compassionevoli, eppure esso non ci impietosisce. La colpa di cui tacciamo il povero plebeo, come l’eccezionale bruttezza del mitico satiro, è troppo assurda da sopportare.
Distorsione. Deformità. Caricatura.
Estrazione.
La diagnosi è chiara: il male deve essere estirpato. Una craniotomia d’urgenza è l’unica soluzione. Signore, mi serve il suo consenso. I rischi sono minimi. La prego si stenda e si rilassi, finirà tutto in un attimo. Sentirà un brevissimo dolore, come una puntura. Rassicurato, lo sventurato si affida alle cure che gli vengono offerte. Grossomodo è questo lo scenario immaginabile a partire dalla narrazione rappresentata. Non si tratta più di colmare una lacuna interiore, la faglia cerebrale responsabile della patologia, ma di eliminare una minaccia, un’indebita escrescenza parassita.
Non si pone rimedio alla mancanza, la si crea.
Astrazione.
Eppure, anche l’episodio di un drastico intervento di asportazione può rivelarsi una proficua occasione di sperimentazione. Il punto di partenza, spunto arbitrario di un processo a catena di dirompente creatività, non può che essere una raffigurazione ermetica, se non enigmatica almeno emblematica; il frutto grottesco di un surrealismo visionario, di un’immaginazione allucinata. Prodotto di una personalità schizofrenica? Di un genio ammattito? S’innesca un gioco, tutt’altro che infantile, che può portare su sentieri mai battuti, a percorrere strade inedite, labirinti mentali con nessuna o troppe uscite. Non è forse quello che fanno i pazzi?
Ancora però non si è certi se astrarre la follia voglia dire dotarla o privarla di senso.
Castrazione.
La pietra viene tolta. Operazione riuscita. L’anomalia è stata sconfitta, la tranquillità ristabilita. Ma è pur sempre qualcosa che non c’è più, qualcosa che prima era parte di noi e che ora ci fa sentire la nostra incompletezza. Chirurgia traumatica e regressiva, che ottunde invece di acuire. Frenologia sadica votata alla completa inibizione.
Frasi spezzate, mozziconi di parole sconnesse.
Sulla testa del falso medico, un imbuto rovesciato a mò di copricapo. Arnese reso inservibile, simbolo di quotidiana insanità, di ordinaria follia. Ricorda quelli che compongono un’installazione del museo che ora sorge all’interno di uno dei padiglioni dell’ex manicomio di Santa Maria della Pietà. All’interno di una sala, che doveva essere un tempo il refettorio, compare una frase incorniciata: “CORPO DEL MANICO-MIO. FAVORITE CHE IL PRANZO E FATTO. GRAZIE TANTE”.
Aggiunte. Trasformazioni. Sovvertimenti.
Condanna dell’idiota o esaltazione del folle?
Opere di Manfredi Ciminale e Fabrizio Des Dorides
Galleria Parione 9 [Roma, Via di Parione 9]
parione9.com
Bosch Remix
a cura di Manfredi Ciminale
11 - 30 novembre 2016