L’anima. La forma. L’idea.
Cos’è disegnare? Come ci si arriva? E’ l’atto di aprirsi un passaggio attraverso un muro di ferro invisibile che sembra trovarsi tra ciò che si sente e ciò che si può.
Vincent Van Gogh
Ferro è il titolo della personale dell’artista Roberto Fanari (Cagliari, 1984; vive e lavora a Milano) ospitata alla White Noise Gallery dal 23 gennaio al 27 febbraio 2016. Ferro non è solo il titolo, è l’essenza della cifra stilistica dell’artista, che, stringendo dal concettualismo, recupera il processo del fare, dell’artigianato, la maestria manuale per far sì che le sue sculture restituiscano sulla parete della galleria un reticolato quasi pittorico. Un reticolato che tratta la parete come una tela, allestendo una scenografia di ombre, parte integrante del lavoro d’artista.
Il metallo può essere pesante, o almeno così lo immaginiamo. Ci si aspetterebbe dunque di vedere dei rottami, qualcosa di ingombrante. Quello che l’artista propone è invece tutt’altro: grazie a dei filamenti di ferro cotto sapientemente intrecciati e saldati, Fanari crea delle figure morbide che non tradiscono affatto la loro reale pesantezza. I grandi pannelli che simulano la bidimensionalità, posati sulle pareti come arazzi, sono il preludio di quello che il nostro sguardo incontrerà nel percorso dell’allestimento.
Roberto Fanari, Ferro, 2015, installation view. Courtesy of White Noise Gallery
Uno sguardo che farà fatica a pensare che le opere siano di ferro, dato il loro gioco di pieni e di vuoti che conferisce loro una leggerezza pressoché assoluta. I bambini seduti sembrano quasi altalenare le loro piccole gambe, la bambina con l’ombrello aperto sembra guardarci dentro, scrutando nel profondo. L’impressionante gioco di ombre che si crea dietro le figure sembra disegnarne le anime sulla parete, sembra definirne il carattere, togliendo alle loro espressioni rigidezza e fissità.
La struttura in ferro che viene usata come scheletro interno della scultura, che ne costituisce l’anima, per Fanari è già un’opera finita, è già piena di quegli intimi valori estetici che la rendono degna del piedistallo ambito. Stupefacenti sono poi i particolari che caratterizzano i personaggi dell’universo creativo di Fanari, dove oltre ai bambini, suo elemento distintivo, compaiono anche un cane e dei trofei di caccia, resi con abilità vignettistica.
La project room presenta dei lavori sperimentali in cui, traendo spunto dalle stampe giapponesi, abbandona la tridimensionalità mantenendo comunque un tratto grafico che, sebbene squisitamente decorativo, non rinuncia ai suoi valori costruttivi. Al posto degli anelli in ferro intrecciati e saldati l’artista si cimenta con la grafite, e si diverte a ingannare lo spettatore giocando con le distanze. Solo avvicinandosi alle opere infatti il disegno si appiattisce mettendo a nudo la sua assenza di profondità.
Roberto Fanari, Ferro, 2015, installation view. Courtesy of White Noise Gallery
La cornice è comunque presente, non scivola mai via al di fuori del nostro campo visivo, ma concentra l’azione delle scene e le spettacolarizza, rendendole monumentali. Come monumentali appaiono le tre statuine su piedistallo raffiguranti una pattinatrice e due bagnanti in stile anni 1930/1940, un’opera mista in ceramica e ferro che richiama gli studi in accademia. Interessante è che le tre statuine, nonostante le dimensioni ridotte, acquistano monumentalità grazie alla loro collocazione ad hoc in una suggestiva nicchia, sfidando la grandezza degli arazzi grafici a cui sono accostate.
Il recupero del processo, dove spesso c’è un atteggiamento di rifiuto verso la tecnica puramente formale, trasforma il ferro da metallo pesante a pensante, stabilendo una connessione affettiva con chi, incantato, guarda quei bambini di ferro, muti ma non per questo inerti, e, perché no, ci si rispecchia.
White Noise Gallery [Roma, Via dei Marsi 20-22]
whitenoisegallery.it
Ferro
ROBERTO FANARI
A cura di Eleonora Aloise e Carlo Maria Lolli Ghetti
23 gennaio – 27 febbraio 2016