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“Ma quello è un naso?”

Partiamo col dire che questa mostra ha suscitato in noi una solleticante perplessità.

Sì perché quella attualmente in corso alla Galleria T293, la personale di Strauss Bourque-LaFrance, la troviamo subito, a dispetto dei nostri buoni propositi, in qualche modo… diremmo “impenetrabile”, ma ci accorgiamo subito che il termine scelto è troppo impegnativo. «Mah tu che dici?» chiediamo allo sventurato che ci siamo trascinati dietro. «Mah non so…» questo mugugna. Insomma iniziamo inevitabilmente a interrogarci, a esprimere prontamente le nostre perplessità, come se il solo fatto di esternarle potesse esorcizzare – lo facciamo pur sempre con una nota di timore, non del tutto reverenziale – i dubbi infondati che ci assillano. In fondo ci sentiamo in dovere di farlo. Ma non capiamo – almeno non subito – che è la mostra stessa a chiederci di riflettere, interagendo con opere dalle forme semplificate la cui complessità è insospettabile.

Strauss Bourque-LaFrance, USA Objects, 2015, installation view. Courtesy of T293

Dunque ci aggiriamo e osserviamo, dissimulando lo sforzo di partorire commenti sensati o almeno comprensibili – come se dovessimo rivolgerci a un demente che abita abusivamente nella parte intelligente del nostro cervello. Brandiamo il pieghevole, la fonte che dovrebbe contenere la rivelazione, nel tentativo disperato di orientarci e apprendiamo che l’artista è americano («di New York, niente meno!») e che il titolo dell’esposizione è USA Objects («ah allora l’oggettualità c’entrava qualcosa»). Bene, le nostre impressioni iniziali – e lo notiamo con evidente sollievo – sono state affrettate, dopotutto. «Però le opere non mi convincono, troppo semplici, dei pezzi di legno appesi alle pareti», dice uno. «Io le trovo molto minimal» rincara l’altro. «Sì mi ricordano i Lego, anzi no! I regoli, ve li ricordate? Quelli che ci facevano usare alle elementari per imparare multipli, proporzioni e quelle cose lì». E le analogie si sprecano.

Guardiamo degli agglomerati che potrebbero essere usciti da un cantiere edile (le travi in legno di tiglio di un carpentiere). Se non fosse per i colori (la superficie è ricoperta da venature eseguite con pastelli a cera), anche se tale caratteristica sembra avvicinarli agli scarabocchi infantili di un bambino appassionato di costruzioni. Se non fosse per il loro ordine, il modo in cui sono esposti, isolati su bianche pareti. Il commento nasce spontaneo, ingenuo nel suo sarcasmo: «Certo che con questo allestimento qualunque cosa sembrerebbe un capolavoro». Inutile dire che la disposizione dilatata è voluta, le singole opere devono essere nelle condizioni di poter dialogare, tra di loro, con lo spazio, con lo spettatore. Le strutture modulari (così vengono definite) devono inoltre ricordare volti i cui tratti, sebbene ridotti a sintesi astratte, hanno il compito di rievocare nomi e aspetti di donne, di GRLS per dirla con una contrazione. «Ma tu lo vedi il naso?».

Arrivati, con fatica, alla fine del testo crediamo – quale scivolosa illusione! – di disporre delle informazioni necessarie per comprendere appieno il lavoro dell’artista e il senso della mostra. Strauss si richiama al minimalismo («qualcuno aveva visto giusto!») e la sua personale vuole essere un omaggio all’artigianato e al design americano, prodotti di quell’estetica modernista che affonda i suoi presupposti nella cultura di massa e nel culto per l’hobbistica. Ci sono anche riferimenti al neoplasticismo di Mondrian («te l’avevo detto!»), la cui tensione quasi ascetica a una semplificazione pressoché assoluta del reale non finisce di influenzare le idee di cui si alimentano le utopie creative. L’ironica gaiezza che promana da composizioni così uguali eppure così diverse è stemperata da uno studiato rigore che inibisce ogni tentativo di attribuire a questi assemblages significati che li trascendano. Anche se, ovviamente, vorremmo fare l’opposto.

Così continuiamo a discutere, cercando di penetrarne il senso, svelarne i retroscena, scioglierne i nodi. Ma i tentativi sembrano essere infruttuosi. «Dunque…?» pensiamo tutti. E non ci accorgiamo che da questa discussione ne siamo usciti comunque arricchiti.

Galleria T293 [Roma, Via G. M. Crescimbeni 11]

t293.it

USA Objects

STRAUSS BOURQUE-LAFRANCE

31 ottobre - 5 dicembre

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