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I don’t feel BLUE…*

La penna viene saldamente impugnata. La sua punta incontra la superficie del foglio. È il principio di un inizio…

Jan Fabre torna a Roma con Gli anni dell’Ora Blu. E non lo fa nel suo modo irruento e chiassoso, ma proponendo una serie di opere eseguite a penna Bic negli anni Ottanta, agli esordi della sua carriera. La mostra allestita presso la Galleria Magazzino (giunta ormai a ospitare la quinta personale dell’artista belga) si configura dunque come una sorta di retrospettiva, un focus su una determinata fase del suo trentennale lavoro che permetta al pubblico di ri-scoprire quanto il poliedrico fiammingo sappia ogni volta sorprenderci, spiazzarci, fornendo, anche a distanza di tempo e con lavori datati, spunti sempre originali che sanno parlare delle tematiche più profonde dell’arte: la genesi del processo creativo e il rapporto di interdipendenza forgiante tra strumento e prodotto.

Jan Fabre, Alrlberg, Alps, Austria, 1989, from the series: Mountain tops, ballpoint pen on black-and-white photo, 53 x 42,5 cm. Courtesy of Magazzino

… la penna scorre, dapprima incerta poi sempre più veloce. La mano acquista sicurezza. I segni si accumulano…

Quello che Fabre tenta di dischiudere è un enigma della sfinge dalle molteplici soluzioni, un dramma edipico senza alcuna tragedia. E lo fa con l’atteggiamento di un novello Prometeo, sprezzante dei limiti e fiero sostenitore di una concezione olistica del fare artistico in grado di elevarsi a nuovi gradi di consapevolezza. Attraverso un’assoluta padronanza dei più diversi media espressivi Fabre travalica i confini in cui si circoscrivono le singole specificità produttive per giungere ai sostrati che rendono ciascun linguaggio unico e allo stesso tempo parte di quella sola e suprema condizione che chiamiamo arte. Perfettamente conscio dell’artigianalità insita nel suo ruolo demiurgico, Jan si mantiene all’interno della tradizione figurativa occidentale, ne rielabora le icone e ne reinterpreta i miti, ma, come un aratro che dissoda terreni inariditi, ne approfondisce il solco (grazie alla conoscenza storica e alla sicurezza tecnico-esecutiva) e ne rivolta intere zolle (grazie al suo acume critico) per gettare i semi di una Natura destinata a rinnovarsi in una continua metamorfosi di forme conturbanti e significati attualizzati.

… la penna impazza, l’inchiostro infuria. Le linee si affastellano come in un vortice. Ed è un mare di blu…

Come uno sciamano-scienziato che si muove tra magia e logos, l’istrione di Anversa si addentra nell’universo funzionale di un mezzo grafico (una comune penna blu) e, attraverso una gestualità esasperata, ne esplora (empiricamente) le potenzialità visive analizzandone (razionalmente) le proprietà generative. Nella serie Mountain tops le cime innevate di montagne da cartolina sono rielaborate con un intervento minimale: sulla superficie lucida di fotografie in bianco e nero l’azzurro di cui si tinge la punta del monte, pur determinando una nota cromatica lievemente straniante, si amalgama perfettamente, grazie alla lucentezza e trasparenza dell’inchiostro industriale, alle gradazioni di grigio del paesaggio. Sembra quasi che la montagna diventi essa stessa una penna, che si erge a disegnare sul cielo.

… groviglio, matassa inestricabile di blu…

Ma vi è anche un universo di immagini, un repertorio monocromo di simboli e archetipi, metafore al confine tra allusione e narrazione che manifestano mondi onirici e aprono dimensioni inconsce popolate da presenze/apparenze inquietanti e mortifere (demoni scheletrici e crisalidi con teste di teschio), dissacranti ed esoteriche (un pene eretto si protende al di sopra di un Cristo portacroce). Compaiono qui i soggetti che diventeranno frequenti nelle opere di Fabre: simulacri mortuari e creature entomologiche come emblemi di trasfigurazione e rinascita. A fatica però queste aberrazioni riescono a emergere dalla profonda stratificazione di linee che li imprigiona in un livido limbo crepuscolare.

… tutto è blu, tripudio di intenso blu…

Simbolo culminante di questo percorso è il pugnale. Nella serie Swords, Crosses and Daggers forme spettrali che evocano lame e croci emergono da un fondo costituito da infinite velature di sottili segni tracciati ossessivamente con la biro. Queste epifaniche silhouette, ambigue e misteriose, possono essere viste come rappresentazioni metapoetiche della genesi artistica, paradigmi del procedimento fisico-manuale che sta alla base di qualsiasi azione creativa. La penna, come un'arma bianca, esercita la sua violenza sul foglio di carta, superficie corporea a supporto dell’idea, il quale diventa terreno di incontro tra l’ indefinitezza del fondo e l’atto “esatto” di rimozione che ha generato le sagome. Anche la croce può assumere un significato analogo. Essa infatti rimanda alla componente “sacra” di un’arte che è soprattutto, in senso latamente cristologico, “passione” estatica e mistica esaltazione. Un sentimento lontano dalla malinconica tetraggine (ben sintetizzata dall’espressione anglofona feeling blue, ovvero essere depressi) a cui gli inglesi associano il colore blu.

… la penna si ferma. La fine ha trovato la sua conclusione.

* Con la collaborazione tutta intellettuale di Francesco Grossi

Magazzino Arte Moderna [Roma, Via dei Prefetti 17]

magazzinoartemoderna.com

Gli anni dell'Ora Blu

JAN FABRE

14 ottobre - 10 novembre 2015


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